Capitolo 1

Premesse ed origini storiche


Lo Scolmatore di Reno, comunemente detto “Cavo Napoleonico” per le origini storiche della sua ideazione, è un canale artificiale della lunghezza complessiva di circa 18 Km, capace di una portata massima di 500 mc/sec e di un invaso di circa 18 milioni di metri cubi, che attraversando le campagne del Ferrarese, collega il fiume Reno al fiume Po in corrispondenza del tratto in cui i due corsi d’acqua hanno tra loro la minima distanza.

Le circostanze che hanno portato alla realizzazione di questo canale sono strettamente legate alle vicende idrauliche del fiume Reno, delle quali già esiste una ricca e dotta bibliografia.

Per correttezza, si ritiene comunque utile darne qui di seguito un sia pur breve e succinto cenno.

Il bacino imbrifero del fiume Reno ha una estensione di circa 4.600 Km quadrati, di cui 2.540 montani e 2.060 di pianura. La sua portata massima centennale, a Casalecchio, è stimata in 2.200 mc/sec.

In epoca remota, ancor prima del 1200, i deflussi di Reno oltre a disperdersi nelle valli delle campagne poste al piede del suo corso montano (Casalecchio), trovavano sbocco naturale verso Nord, nel Po di Ferrara.

Con le rotte di Ficarolo, avvenute nel 1152 e nel 1192, iniziò un lungo periodo di grave disordine idraulico a carico di tutta la bassa pianura a Sud di Ferrara. Per quante volte il Reno abbandonò il Po, tentando di aprirsi naturalmente nuovi alvei nei suoi territori in destra, per altrettante vi fu ricondotto. E ciò per esaudire le pressanti istanze dei bolognesi, attenti alla tutela delle proprie campagne e forti nelle loro richieste dell’autorevole appoggio del Papa, che sempre sostenne le loro ragioni presso i Duchi di Ferrara.

Ma ben presto il progressivo interrimento del Po di Ferrara e dei suoi rami di valle (Volano e Primaro), determinato dagli apporti solidi di Reno, rese sempre più ostacolato l’afflusso del Reno nel suo naturale recapito, determinando frequenti fenomeni di rotte ed esondazioni, con impaludamento stabile delle campagne.

Questa situazione diede origine ad accese diatribe fra i governi di Bologna e Ferrara, divisi da contrastanti interessi politico-economici sulla migliore gestione delle acque e, conseguentemente, sui criteri di sistemazione idraulica del territori interessati.

Trascorsero così quattro secoli fra lunghissime dispute e brevi accomodamenti, che videro protagonisti Nobili, Papi e potenti delle opposte fazioni.

Numerosi furono gli studi e le soluzioni proposte per far assumere al Reno un assetto tale da renderne possibile il deflusso verso il mare senza più creare danni e problemi alle popolazioni rivierasche.

Nel 1604 Clemente VIII ne dispose la provvisoria diversione nella palude Sammartina per tentare, con tale provvedimento ed altre opere idrauliche complementari, di riattivare il corso del Po di Ferrara che andava sempre più perdendo la sua caratteristica di fiume navigabile. Il tentativo fallì ed allora si pensò di ricondurre il Reno in Po a mezzo di un alveo proprio, secondo un tracciato razionale. Ma sulla scelta di tale tracciato si accesero nuovamente lunghe discussioni che non approdarono ad alcunchè di concreto.

Si giunse così sino al 1740 quando, su iniziativa di Benedetto XIV (Papa Lambertini) venne deciso e realizzato l’inalveamento del Reno da passo Segni al Passo del Morgone, con immissione delle acque nel Po di Primaro. Ma ben presto, sempre a causa dei trasporti solidi di Reno, questo nuovo canale (detto Cavo Benedettino) subì forti interrimenti per cui si riproposero, con sempre maggiore gravità, i dissesti e le inondazioni dei territori latistanti.

A seguito di ciò, una commissione nominata da Clemente XIII e costituita da Padre Lecchi (idraulico e matematico milanese), Tommaso Temenza (architetto della Repubblica di Venezia) e Giovanni Verace (architetto del Granducato di Toscana) riprese gli studi per l’inalveazione del Reno, studi che trovarono conclusione nella proposta di arginare il Reno dalla Panfilia fino al Cavo Benedettino e quindi darvi continuità lungo tutto il seguente corso del Po di Primaro, sino al suo sfocio in mare.

Trovato consenso su tale soluzione, si diede inizio ai lavori relativi che vennero eseguiti nel periodo dal 1767 al 1795 e che fecero assumere al Reno l’assetto planimetrico che, di massima, ancora oggi presenta.

Ma l’esecuzione di queste opere non acquietò le dispute fra bolognesi e ferraresi, ognuno preoccupato della sicurezza dei propri territori e della tutela dei propri interessi. E ciò in quanto la capacità di deflusso del nuovo alveo di Reno, così incanalato, si rivelò insufficiente allo smaltimento delle massime piene che il suo regime torrentizio spesso proponeva.

Ne conseguirono quindi ancora rotte, inondazioni ed un costante stato di insicurezza sulla tenuta delle difese, circostanze tutte che accesero violente dispute ed accuse sulla responsabilità degli eventi calamitosi avvenuti od incombenti.

A comporre le accese polemiche, intervenne la risolutezza di Napoleone Bonaparte. Presente in Italia dal 1796 per condurre la “Campagna d’Italia”, in occasione di un suo soggiorno a Bologna e per interessamento del proprio ministro Antonio Aldini, esaminò l’annosa questione e quindi, con proprio Decreto dell’ 11 giugno 1807, ordinò l’inalveazione del Reno nel Po di Venezia (o Po Grande) attraverso un Cavo (perciò detto Napoleonico) che dalla Panfilia avrebbe dovuto condurre le acque in Panaro, nei pressi di Bondeno, e di qui in Po.

Con rimarchevole rapidità, i lavori ebbero inizio l’anno seguente e, come racconta Icilio Tornani, “…furono per tre anni condotti con straordinaria alacrità, tanto che erasi quasi compìto il cavo che doveva ricevere il Reno…”.

Sennonché le vicende politiche e belliche dell’epoca distrassero i mezzi finanziari destinati all’opera ed i lavori ben presto illanguidirono. Narrano i cronisti dell’epoca che i settemila operai impiegati inizialmente si ridussero ad una trentina, per mostrare più che altro che l’impresa non era del tutto abbandonata. Ma l’abbandono fu poi completo, con la restaurazione degli antichi Governi.

Trascorsero cosi altri decenni, senza che il problema della sicurezza idraulica del Reno trovasse definitiva e razionale soluzione.

Nel 1930 venne risollevata la questione della immissione del Reno in Po ed allora il Ministero dei LL.PP. ne decise il riesame, nominando allo scopo una apposita Commissione costituita dagli allora Ispettori Superiori del Genio Civile Giandotti, Dardanelli e Vito Fornari. A conclusione dei suoi lavori, tale Commissione espresse i seguenti convincimenti:

 

  1. che non si ravvisava convenienza economica fra l’ipotesi di spesa occorrente per la realizzazione del diversivo Napoleonico e quella invece necessaria per il potenziamento dei corpi arginali di tutto il complesso idraulico di Reno sotteso al diversivo stesso;
  2. che, considerata l’evoluzione positiva dell’assetto delle opere idrauliche interessate e di quelle di bonifica ad esse connesse (in via di completamento) potevano ormai considerarsi superate le preoccupazioni sulla sicurezza di tali opere, preoccupazioni che, nell’ultimo secolo, avevano acceso appassionati dibattiti fra uomini di governo ed insigni studiosi;
  3. che, per contro, la realizzazione della nuova inalveazione di Reno nel Cavo Napoleonico sarebbe stata fonte di serie preoccupazioni circa la sicurezza idraulica dei territori attraversati dal nuovo canale;
  4. che i vantaggi attribuibili a tale inalveazione sarebbero stati di lieve entità e comunque certamente inferiori agli svantaggi che invece ne avrebbe subito l’equilibrio idraulico del corso del Po, pesantemente gravato dagli apporti liquidi e solidi di Reno.

Per tutto quanto sopra, la Commissione concluse che, allo stato dei fatti, non fosse conveniente né nei riguardi idraulici, né sotto il profilo economico, realizzare la deviazione del Reno alla Panfilia per la sua immissione in Po.

Accolta tale conclusione, venne quindi abbandonata l’ipotesi di dare completamento al diversivo Napoleonico per immettere il Reno in Po.

Perdurando però le obiettive preoccupazioni per la sicurezza idraulica del tratto di Reno a valle della Panfilia, si fece strada l’idea di mediare le opposte ragioni, da secoli dibattute, realizzando una attenuazione delle piene del Reno mediante un parziale scolmo delle stesse alla Panfilia, con recapito delle acque derivate in Po, attraverso il Cavo Napoleonico opportunamente sistemato a tal fine.


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